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La conoscenza delle cause e delle caratteristiche di tali patologie costituisce pertanto un presupposto fondamentale sia per la formulazione di una corretta diagnosi che per la ricerca di adeguati criteri atti a porre l’idoneo trattamento.
Le linee guida stilate in base alla congruenza di dati anamnestici, clinici, neurologici e neuroradiologici assumono oggi sempre maggiore rilevanza, consentono di individuare la migliore strategia terapeutica per il paziente e di arrivare al momento giusto ad una eventuale opzione chirurgica.
La protrusione o bulging discale è una estensione del margine esterno dell’anulus sul piano orizzontale al di là dei limiti dello spazio discale, generalmente per oltre il 25% della circonferenza del disco e di solito con una sporgenza non superiore ai 3 mm.
L’ernia discale è una patologia degenerativa caratterizzata da dislocazione localizzata di materiale discale (nucleo polposo) oltre i normali limiti dello spazio del disco intervertebrale (anulus fibroso) che si manifesta con un quadro clinico caratterizzato da dolore, ed, in caso di radicolopatia, da disturbi sensitivi e motori con una distribuzione radicolare, limitazione o impotenza funzionale.
La patologia discale è presente in soggetti asintomatici con un’incidenza dal 20% al 40%. L’età più colpita va dai 30 ai 50 anni, con un picco intorno ai 40. In oltre il 90% dei casi i livelli colpiti sono L4-L5 e L5-S1.
Tra i fattori predisponenti vanno evidenziati l’eccessivo peso corporeo, le attività lavorative troppo usuranti, una vita troppo sedentaria, una dieta poco equilibrata, un uso eccessivo di alcolici, il fumo, determinate attività sportive di tipo agonistico protratte nel tempo che comportino eccessivi carichi e torsioni sulla colonna, fattori costituzionali (anello discale con particolare fragilità intrinseca), malattie reumatiche (artrite reumatoide).
Il quadro clinico, determinato dalla compressione esercitata dal materiale erniato sulla radice e sul ganglio spinale con deformazione diretta delle fibre nervose, è costituito nel 95% dei casi solo da lombalgìa ed in meno del 5% dei casi da una radicolopatia associata, con coinvolgimento del nervo sciatico (radici L5 ed S1) e/o crurale (radici L4 e prossimali).
Nel primo caso si parla di lombosciatalgìa, nel secondo di lombocruralgìa.
Possono essere presenti solo segni di irritazione radicolare, con dolore e parestesìe (soggettiva sensazione di formicolìo ed addormentamento) oppure, nei casi più gravi di compressione della radice nervosa, alterazione della sensibilità, della forza muscolare o dei riflessi.
L’esame strumentale più specifico e dettagliato per la diagnosi di patologia discale è senza dubbio la risonanza magnetica, sia per l’elevata risoluzione che per la maggiore differenziazione dei tessuti molli rispetto alla TC.
Alla diagnosi contribuisce l’esame obiettivo neurologico, con la valutazione della motilità e della forza, della sensibilità, dei riflessi e di specifici test clinici.
La terapia conservativa nei casi di ernia del disco va praticata da 4 a 6 settimane dall’insorgenza di un quadro di radicolopatia tipico (in assenza di deficit motori).
I trattamenti conservativi prevedono l’utilizzo di farmaci (cortisonici, FANS, oppioidi, miorilassanti, neurotrofici, anticonvulsivanti), fisiokinesiterapia, terapie fisiche, trattamenti mini-invasivi (infiltrazioni, radiofrequenza, anuloplastiche, disconucleolisi tramite laser, coblazione, ossigeno-ozono terapia).
La terapia chirurgica consiste nella erniectomia e/o discectomia microchirurgica, cioè nell’asportazione del materiale discale erniato associata o meno all’asportazione della residua parte interna del disco.
L’intervento chirurgico deve essere preso in considerazione in caso di fallimento, a giudizio congiunto del chirurgo e del paziente, di trattamenti conservativi adeguatamente condotti per almeno quattro settimane.
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Gli altri aiuti fruiti sono consultabili nella sezione del Registro Nazionale aiuti di stato al seguente link:
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